mercoledì 17 febbraio 2016

N E S S U N O DOVEVA SAPERE di Rita Sanna

da sx: Gemma Azuni, Antonio Maria Masia, Rita Sanna, Elena Cordaro
di Patrizia Boi
Il 13 febbraio scorso è stato presentato l’ultimo romanzo di Rita Sanna presso il Palazzo Unar, Sede del Gremio dei Sardi che ha promosso l’iniziativa in collaborazione con la Società Umanitaria.
Dopo il saluto iniziale al numeroso pubblico presente   e una breve introduzione di Elena Cordaro dell’Umanitaria, ha preso la parola Antonio Maria Masia, Presidente del Gremio, che dopo aver presentato l’attore di teatro e di cinema Alex Pascoli incaricato della lettura di alcuni pagine del libro, si è soffermato su vari aspetti dello stile e del contenuto dell’opera.
L’opera segue altri romanzi, due dei quali, già noti al pubblico del Gremio e dell’Umanitaria: il primo, “Michelina” del 2008, il secondo “Ippolita” del 2013.
Michelina, è una storia scabrosa e terribile che tratta il complesso tema dell’incesto, della violenza sulle donne, raccontata con dignità e sobrietà con uno stile attraverso il quale la Sanna riesce ad attivare la riflessione sociale.
Ippolita, tratta della “solitudine” non solo di una Donna, ma dell’uomo stesso quando attraversa la fase della vecchia. Un racconto che mostra come si possa affrontare il declino fisico attraverso nuovi incontri, la solidarietà e l’affetto.  
Questo ultimo libro di Rita Sanna si occupa, invece, di un argomento attuale, soprattutto, in questi giorni in cui si decide in Parlamento la legge sulle unioni civili e sulla adozione co-parentale, sulle famiglie arcobaleno, utero in affitto e maternità surrogata… l’eterna vicenda  dell’Omosessualità e delle sue conseguenze nelle relazioni interpersonali, famigliari, politiche, di costume, delle tradizioni e della cultura.
Il tema della Diversità di tendenza sessuale è certo arduo da regolamentare: la Diversità  è spesso vista come fattore di disturbo, atto a sconvolgere le verità costituite e in qualche modo l’ordine sociale.
Tutto ciò che è Diverso, infatti, per sesso, cultura, costumi, colore della pelle, condizione sociale, religione fa vacillare le nostre certezze, e spesso ci porta a reazioni confuse, discriminatorie e razziste.
Non dimentichiamo, rammenta Masia, che i più grandi eccidi e genocidi sono stati compiuti dall’uomo contro l’Uomo stessosulla base di convinzioni infondate. Il tema della Omosessualità di Rino, il protagonista di questo nuovo libro di Rita Sanna,  è indagato in maniera semplice e chiara e conduce ad una sottile riflessione.
Il libro poteva essere intitolato Rino, seguendo il filo dei nomi (Michelina, Ippolita), invece Rita ha scelto un titolo che ha già incorporato il senso del racconto: Nessuno doveva sapere in quel piccolo e sperduto paese della Sardegna intorno agli anni 70.
Perché quel “vizietto” che è meglio non nominare, è depravante e deve restare confinato entro le pareti domestiche, vissuto come una disgrazia da una madre che non capisce, non accetta e non comunica. Sul Diverso in un luogo chiuso nelle sue convinzioni si riversa solo disprezzo, fastidio, odio e una tremenda paura.
Oltre a questo accattivante titolo, il libro presenta una copertina che ritrae un quadro del grande pittore norvegese Eduard Munch, maestro nel rappresentare tormenti, dubbi e sofferenze dell’Uomo moderno di fronte al dolore, alle disgrazie, alle difficoltà. Titolo e copertina efficaci quanto mai.
Masia fa notare, come Rita, riesca a coniugare semplicità, chiarezza e capacità di sintesi. La sua scrittura non è mai ridondante di aggettivi e di complicati ragionamenti retorici, ma conduce subito al nocciolo del discorso favorendo nuove riflessioni. La lettura è scorrevole, forse grazie alla sua esperienza di insegnante, di cui Rita riesce ad avvalersi senza mai salire  in cattedra. La struttura del libro è fatta di brevi o brevissimi capitoli che si snodano con fluidità.
Nel testo Masia ravvisa due aspetti nuovi.
In primo luogo, Rita, ricorre, per la prima volta, ad alcune espressioni in sardo per esprimere considerazioni, frasi ed epiteti di offesa e disprezzo verso gli omosessuali: infatti nella trama del racconto queste frasi rendono meglio il clima ostile ed i preconcetti di quel momento storico su tutta la vicenda.
In secondo luogo, sulla dinamica e tempistica del racconto, sempre avvincente allo scorrere di ogni pagina, Rita opera sin dalla prima pagina, un capovolgimento rispetto al normale percorso  della narrazione, anticipandone  l’esito finale.
A questo punto l’attore  Alex Pascoli legge con trasporto e partecipazione alcuni brani tratti dall’opera.
Si parte, infatti, dal tormento degli ultimi attimi di vita del protagonista, la cui agonia funge da incipit su cui si costruisce tutta la trama, sapendo che, se pur si è svelato il finale, l’intreccio si dipana, comunque, lasciando il lettore curioso dell’avanzare del dramma di Rino e delle persone coinvolte nel suo tragico destino.
Vengono introdotti  da Masia gli altri personaggi fra i quali, la madre di Rino, Donna Fellica, rigida, severa, conservatrice, segnata da una giovanile vedovanza, con  il carico di due figli da crescere, e il giovane Don Fausto,  nuovo sacerdote appena arrivato come parroco del suo  paesino.  Bello e riflessivo, ricco di comunicativa e sensibilità, inizia per primo ad intuire il dramma di Rino. Anche lui, in ogni modo, è incapace di alleggerire il peso di quest’uomo chiuso nel suo segreto. Del resto, la stessa Chiesa, da sempre, non assolve i devianti dalla retta via, se non accodandosi al generale giudizio spezzante e offensivo nei confronti dell’omosessualità.
Rino, alle soglie della piena maturità e con una posizione sociale e  professionale di rilevo nel suo paese – direttore didattico – si trova improvvisamente costretto ad ascoltare i suoi desideri che si materializzano quando Rita introduce il personaggio di Bastianeddu. Questo ragazzo bello e grezzo, incolto ma sensibile, rimane affascinato dalla personalità di  Rino. In Rino c’è la paura e i dubbi di un futuro ignoto e rischioso, ma emerge la consapevolezza che deve accettare il suo essere omosessuale, la sua Diversità.
Alex Pascoli, su invito del relatore,  legge con commozione la descrizione del primo incontro fra Rino e Bastianeddu, in una piazza della grande città vicina al suo piccolo paese.
In quel paesino, però, non c’è posto per una passione scabrosa, il contesto è fatto di profonda arretratezza culturale, di mancanza di dibattito, di ignoranza.
L’attore riesce a trasmettere con una interpretazione coinvolgente il pathos delle scene principali della storia. 
Per la madre di Rino c’è la colpa di aver cresciuto un figlio diverso e la scelta del silenzio.
Il fratello maggiore Costantino che rientra dalla Germania per riesce solo a dire: se l’avessi saputo prima…
Poi ci sono le voci offensive dei paesani che ossessionano il cuore ed il cervello di  Rino (maledetto pederasta, frocio di merda, spazzatura, scopati tuo fratello…, pur nel conforto delle parole di Don Fausto: non è colpa tua, il tempo non è ancora maturo per quelli come te…
E ora, noi tutti, possiamo dire che il tempo per quelli come Rino è maturo?
Con questa domanda il Presidente Masia lascia la parola al pubblico, dopo essersi fatto apprezzare per un intervento degno dei migliori critici letterari.
Durante l’incontro faccio attenzione a un fatto importante: la madre di Rino rappresenta la figura canonica della donna sarda timorata di Dio.  Una donna tutta casa e chiesa che partecipa nella sua essenza della chiusura mentale dell’ambiente. Per lei il fatto di avere un figlio “finocchio” rappresenta una insopportabile sciagura. Per questo tipo di donna, la disgrazia non è espressa solo dall’omosessualità, ma dalla sessualità stessa.
Il peccato capitale della Lussuria, la colpa attribuita ai primi peccatori della storia, sono stati il cavallo di battaglia della programmazione negativa attuata dalla Chiesa, a scapito di uomini e donne già limitati dalla propria ignoranza. I limiti imposti, in realtà, non servono a eliminare davvero le naturali pulsioni dell’uomo, ma le fanno esplodere, con i divieti, in vizi ancora più assillanti. Il potere del divieto è davvero quello di far scatenare il desiderio proprio per ciò che è più vietato, tant’è che proprio negli ambienti ecclesiastici si nascondono discreti livelli di omosessualità.
Il peccato, la colpa, il giudizio, sono retaggio di quella parte più oscurantista della Chiesa, quella che ha creato roghi e bruciato le donne come streghe, le guaritrici, le profetesse, le veggenti, le antiche sacerdotesse, cioè le “prostitute sacre” dell’antichità. Benvenuta pertanto l’espressione di Papa Francesco in premessa al libro di Rita: chi sono io per giudicare?
Voglio ricordare, invece, come racconta Raimondo Demuro ne I racconti della Nuraghelogia, che le donne e gli uomini sardi avevano costumi più liberi quando durante la festa dei celibi: “la gioventù andava, uomini e donne insieme, al ruscello e lì si spogliavano nudi per farsi il bagno e poi facevano il ballo tondo… La Nuraghelogia teneva nel massimo conto il rispetto dei bisogni sessuali e perciò insegnava a usare, sin da piccoli, lo strumento che la natura ha dato all’uomo e alla donna…”.
In realtà l’atteggiamento moralistico è venuto dopo e non ha fatto altro che disallineare il corpo dell’uomo dalla sua anima e dal suo spirito, introducendo nella sua coscienza delle distorsioni che hanno creato conflitti, malattia e pensieri aberranti.
La novità che ha introdotto Rita in questo suo libro, è la figura giovane e compassionevole del parroco, più pietoso rispetto al sacerdote canonico che fa prediche moraleggianti e che minaccia la punizione divina al minimo discostarsi dai Comandamenti.
Queste mie considerazioni, sono anche il nocciolo dell’intervento fatto da Gemma Azuni, che ha raccontato la sua esperienza di assistente sociale a contatto con tutte le diversità. Gemma ha ricordato, inoltre, un episodio della sua adolescenza, dove il giudizio pesante sui gesti liberi di due giovani donne,  limitava il rapporto con la loro femminilità. La scelta di partire era necessaria, per lei, per sua sorella, per le donne come loro, che vogliono essere libere.
In conclusione mi è rimasto impresso lo sguardo silenzioso e curioso di Rita Sanna che osservava i nostri dibattiti, le nostre considerazioni, le nostre dissertazioni sul giudizio, sulla colpa, sulle distorsioni come se pensasse: “allora sono riuscita a farli riflettere davvero”.


2 Commenti to ““NESSUNO DOVEVA SAPERE”: LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI RITA SANNA A ROMA CON L’ASSOCIAZIONE DEL GREMIO DEI SARDI”

  1.   Rita Sanna Says:
    Un grazie enorme,tutto sardo ,a PATRIZIA BOI!
  2.   Gemma Azuni Says:
    Bellissimo libro che consiglio di leggere.

sabato 6 febbraio 2016

Paolo F R E S U alla Cappella SISTINA del QUIRINALE


ph: Daniele di Bonaventura e Paolo Fresu
di Patrizia Boi
Il trombettista sardo Paolo Fresu si è esibito al Palazzo del Quirinale nell’ambito del programma dei Concerti alla Cappella Paolina, la grande cappella di palazzo che riveste la stessa funzione della Sistina in Vaticano e che per questo ne rispecchia le stesse caratteristiche architettoniche e proporzionali.
Il Duo Paolo Fresu (tromba e flicorno) e Daniele di Bonaventura (bandoneòn), ha dato luogo al concerto “In Maggiore”,  trasmesso in diretta su Radio 3 in collaborazione con Rai Quirinale.
In Maggiore” è il titolo del CD inciso dal duo nel 2015, colonna sonora del film documentario  del regista Fabrizio FerraroQuando dal cielo…, un dialogo musicale tra i due artisti “in un equilibrio  giocoso tra spartiti e improvvisazione”, una conversazione tra  due musicisti  “concentrati a fondere i loro strumenti e le loro personalità” nel linguaggio delle note che risuonano in un teatro “vuoto come una conchiglia di sabbia”.
Si sono susseguiti brani originali di entrambi i musicisti, un’aria tratta da “La Bohéme” di Puccini, canzoni Latinoamericane di autori come il cileno Victor Jara, il brasiliano Chico Buarque, l’uruguayano Jaime Roos, oltre a musiche di origine liturgica e a canzoni del repertorio italiano.
La tromba di Paolo e il bandoneòn di Fabrizio – una specie di fisarmonica inventata dal musicista tedesco Heinrich Band (1821-1860) come strumento per la musica sacra per l’accompagnamento dei canti durante le processioni – conversano evocando immagini visive in un tumulto di emozioni che si comprimono e si espandono come il mantice dello strumento di Fabrizio al premere dei tasti e si innalzano al cielo ogni volta che la figura esile e snella di Paolo si piega in avanti e si lascia andare all’indietro seguendo il profilo del suono, creando una scenografia dove il suo corpo ruota e si flette ai limiti dell’instabilità e comunque sempre assai stabile.
Flessibile sul palcoscenico, quindi, così come nel teatro della vita, anche lì sempre stabile nel suo successo, Paolo Fresu, si accompagna al bandoneòn di Fabrizio di Bonaventura, cambiando continuamente ruolo e relazione, dando il senso di una esplorazione – come è solito fare nei suoi incontri musicali – che sembra sempre aperta ad altri giochi di nuove possibili tappe.
Il nostro trombettista, infatti, ha reso Berchidda nota in tutto il mondo proprio grazie alle sue originali esplorazioni messe in atto durante il Festival Time in Jazz, nato nel 1988 dalla sua passione e dal suo estro. Si tratta di uno degli appuntamenti più apprezzati nel panorama nazionale della musica dal vivo… Ogni edizione ruota intorno a un tema differente, che caratterizza il suo cartellone: nell’estate 2015 la 28° edizione era intitolata “Ali”.  
Gli appassionati di Jazz conoscono la fama di Fresu, i suoi successi nazionali e internazionali, i suoi 350 dischi, i suoi 3.000 concerti, i numerosi premi conquistati, i suoi virtuosismi e l’eleganza del suo suono e per questo lo amano e ne divorano le musiche.
Paolo ha messo le Ali al suo strumento fin da piccolo, iniziando a undici anni nella banda del paese, transitando attraverso il Conservatorio di Sassari e poi di Cagliari, per prendere inaspettatamente la strada del Jazz perché gli «dava l’opportunità, senza parlare troppo, di suonare uno strumento notoriamente chiassoso, in modo esattamente contrario», un modo che, come lui stesso dichiara, ha appreso da Miles Davis e Chet Baker.
La disponibilità  di Fresu a collaborare con gli altri artisti con classe e stile e a mantenere vivi i rapporti avviati, gli ha consentito di suonare in quintetto con gli stessi musicisti da più di trent’anni. Lui alla tromba, Tino Tracanna al sax, Roberto Cipelli al  pianoforte, Attilio Zanchi al contrabbasso, Ettore Fioravanti alle percussioni, sono cinque compagni di viaggio con cui ha condiviso tutto il suo percorso artistico.
Nel 1990 ha iniziato anche la collaborazione con Furio di Castri formando prima il duo Fresu- Di Castri e nel 1995 il trio P.A.F. (Fresu tromba e flicorno, Salis pianoforte e fisarmonica, Di Castri contrabasso) inserendo nel trio un altro sardo, Antonello Salis, un musicista appassionato e originale che passa dal pianoforte alla fisarmonica con semplicità integrando due strumenti apparentemente molto diversi.
Nel campo Jazz ha collaborato e collabora  con musicisti d’eccezione come Trilok Gurtu, Omar Sosa, Richard Galliano e tanti altri, ma come lui stesso dichiara: «Davis è stato il musicista che ho incontrato per primo ed è stato comunque il musicista che mi ha accompagnato e che tuttora continua ad accompagnarmi nel mio percorso artistico».
Paolo combina talenti musicali, è coinvolto in progetti di vario genere:  attori, danzatori, pittori, scultori, poeti, ecc. entrano ed escono dalla sua vita continuamente. 
A un grande regista ormai scomparso e al suo talento poetico nel raccontare l’uomo ha dedicato un brano,  “Fellini”,  che ha interpretato in 24 versioni e che lo accompagna come fosse un vecchio amico. Forse per via del sottotitolo “Elogio della lentezza” che gli rammenta concetti come 
ozio creativo, lentezza, intensità, essenza, che giocano un ruolo determinante nella tua esistenza quotidiana.
Paolo, nella sua silenziosa lentezza spesso partecipa anche a progetti cinematografici scrivendo musiche per film, documentari, video e collabora  frequentemente con il regista Gianfranco Cabiddu con il quale ha vissuto :  l’esperienza diPassaggi di tempo – Il viaggio di Sonos ’e memoria nel 2005, un altro interessante capitolo dedicato alla magia della sua Isola.
In questo film ha condiviso l’esperienza musicale, tra gli altri, con il suonatore di Launeddas Luigi Lai che ormai è diventato un’assidua presenza per il Time in Jazz.
Paolo è talmente innamorato della sua terra che ha inserito nel Time in Jazz la tradizionale e antica Gara fra i poeti improvvisatori, ossia la base della poesia sarda.
È stato protagonista, anche, dei dialoghi girati per la Rai da Gianfranco Cabiddu dal titolo: “Arrejonos (ragionamenti) tra  padre e figlio: Lillino e Paolo Fresu”
Lillino era un uomo (scomparso ultranovantenne quest’estate) che ha provato tutti i mestieri della campagna, dai faticosi lavori come bogadore di sughero e come operaio a giornata, al contadino, al pastore, una presenza fondamentale nella formazione di Paolo.
Nel 2010 Fresu ha aperto la sua etichetta discografica T?k Music  attraverso la quale sta facendo un lavoro di “promozione” nei confronti di molti giovani dell’entourage jazzistico contemporaneo, un progetto che intende guardare avanti” .
Su invito di Antonietta Chironi, ha coordinato, del resto, dal 1989 al 2013 i Seminari Nuoro Jazz per l’Ente Musicale di Nuoro, una delle realtà più prestigiose ed innovative nel campo della didattica del jazz in Italia. 
Fresu ha girato insieme a Gianfranco Cabiddu il documentario “Faber in Sardegna“, dedicato a Fabrizio De Andrè, presentato a Roma in anteprima assoluta lo scorso novembre con un appassionante omaggio musicale – alla presenza di Dori Ghezzi e Cristiano De Andrè – ,   insieme alle coinvolgenti Rita Marcotulli e Maria Pia De Vito.  All’Agnata – in gallurese “agnata” significa “angolo riparato dai venti” -, la residenza alle pendici del Limbara che De André aveva in Sardegna, ogni anno, infatti, si svolge una suggestiva tappa del Time in Jazz.
Nel 2011 Paolo Fresu ha festeggiato i suoi «50 anni suonati», con 50 concerti, in 50 giorni consecutivi, con 50 formazioni e progetti, diversi di giorno in giorno in 50 capolavori paesaggistici della sua Sardegna: un’esistenza «tutta d’un fiato!».
Un tempo vissuto intensamente come emerge nel film documentario “365 Paolo Fresu, il tempo di un viaggio” del regista Roberto Minini-Meròt di cui Paolo è stato protagonista nel 2014.
Stavolta nelle sue peregrinazioni ulissiche da un luogo all’altro, ha incontrato il marchigiano Daniele di Bonaventura, pianista e bandoneonista, compositore e arrangiatore, il cui estro spazia dalla musica classica a quella contemporanea, dal Jazz al tango e alla musica etnica, con incursioni nel mondo del teatro, del cinema e della danza. Di Bonaventura ha collaborato con registi del calibro di Ermanno Olmi (2014) per la colonna sonora del film Torneranno i prati e ha pubblicato più di 50 dischi, molti dei quali hanno ricevuto premi della critica internazionale.
La sua intensa collaborazione con Paolo Fresu ha fatto nascere l’album Mistico Mediterraneo e un disco doppio intitolatoNadir, nella doppia veste di pianista e bandoneista.
La sperimentazione alimenta l’attività e la vita di Paolo, lui esamina tutti le composizioni del suono, sperimenta lo spettro sonoro, le sue frequenze fondamentali, le sue armoniche, l’intensità del suono. E se chiudete gli occhi durante i suoi concerti, avrete la sensazione di elevarvi verso l’alto, verso il cielo, verso la musica delle trombe angeliche. Paolo segue la sua missione di portare il suono in mezzo a noi e, attraverso il suono, attiva le luci dell’arcobaleno. Le vibrazioni del suono ci portano a conoscere anche tutti i colori primari, con varie intensità di rosso, arancio, giallo, azzurro, indaco, viola, e le loro combinazioni. Il mondo di Paolo non è solo in bianco e nero, non è il mondo orizzontale di un uomo che “attraversa ossequiosamente lo squallore della sua esistenza quotidiana”, ma è un universo che prova a variare le tinte sbiadite dell’esistenza. Lo stesso Fresu, durante l’intervista realizzata prima del concerto, ha spiegato che la sua  musica è orientata verso una continua ricerca in cui niente risulta acquisito per sempre. Il suono non è mai qualcosa di stabile. La sua idea di invenzione e fantasia musicale è sempre in divenire. Tutto scorre nell’Universo di Fresu, questa sua modalità rappresenta un cammino vitale è determinante per la sua arte.
E questo pensiero emerge ad ogni concerto e, anche oggi, le vibrazioni musicali degli strumenti hanno saputo trasmettere un messaggio profondo ad un pubblico entusiasta che ha riempito la grande sala della Cappella Paolina.
Gli amici del Gremio dei sardi con il nostro presidente Antonio Maria Masia, presenti in gran numero, si sono messi in fila per omaggiare l’amico e l’artista, dotato di autentico spirito della nostra Isola.


4 Commenti to “IL PICCOLO SARDO CHE STUPISCE IL MONDO: IL SOUND DI PAOLO FRESU AL QUIRINALE PER I “CONCERTI ALLA CAPPELLA PAOLINA””

  1.   Gemma Azuni Says:
    Un particolare ringraziamento a Patrizia Boi per il bellissimo articolo
  2.   Maria Di Maio Says:
    Orgogliosamente sarda o sbaglio?
  3.   Maria Olianas Says:
    Orgoglio sardo !!
  4.   patrizia boi Says:
    Grazie a te Gemma che l’hai letto e grazie a Paolo Fresu che fa grande la nostra Isola!
    Grazie anche alle due Marie!
    Patrizia

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